Ora che sei venuta,
che con passo di danza sei entrata
nella mia vita
quasi folata in una stanza chiusa -
a festeggiarti, bene tanto atteso,
le parole mi mancano e la voce
e tacerti vicino già mi basta.
Il pigolìo così che assorda il bosco
al nascere dell’alba, ammutolisce
quando sull’orizzonte balza il sole.
Ma te la mia inquietudine cercava
quando ragazzo
nella notte d’estate mi facevo
alla finestra come soffocato:
che non sapevo, m’affannava il cuore.
E tutte tue sono le parole
che, come l’acqua all’orlo che trabocca,
alla bocca venivano da sole,
l’ore deserte, quando s’avanzavan
puerilmente le mie labbra d’uomo
da sé, per desiderio di baciare…
Camillo Sbarbaro (1888-1967)
Dalla raccolta «Rimanenze/Versi a Dina»
Poeta dal pronunciato e tormentato lirismo e dalla persistente vocazione autobiografica, Camillo Sbarbaro appartiene a quella linea letteraria ligure primonovecentesca che ebbe il suo capostipite in Roccatagliata Ceccardi e il suo esponente più illustre in Eugenio Montale.
Contraddittorio come tutti i grandi del secolo scorso, Sbarbaro alterna e mescola purezza di sentimento e cedevolezza al prepotente richiamo della carne, isolamento coatto e anelito a una superiore condizione di comunione e di libertà, rifugio negli oscuri recessi dello spirito e stupefatta ammirazione per le bellezze naturalistiche.
Con questo componimento ci lascia una delicata ode amorosa dedicata a una donna concreta, fattasi Memoria e Parola, che si chiude con una dolce nota di casto e adolescenziale erotismo.