«Hanno ucciso papà. Ma queste cose succedono nei film, non può essere vero. I compagni dell’asilo non mi credono. Allora insisto: “Hanno ammazzato papà, gli hanno sparato, bum! bum!, con la pistola” e mimo con le dita la forma dell’arma. Una P38».
Di pochi libri di memorie si possono sentire le pulsazioni, i palpiti, i battiti impazziti del cuore. Qui succede. Anzi, qui il sangue non solo circola, ma addirittura gronda, sparso sul marciapiedi di una via milanese, una piovosa mattina di trent’anni fa. Lo ha messo bene in luce Roberto Saviano su Repubblica: «Il titolo è già un capitolo, anzi è il primo capitolo del libro. In questo caso, per il libro di Benedetta Tobagi, il titolo è davvero fondamentale. Non solo perché è il più bel titolo di un libro uscito negli ultimi anni, ma perché è capace di suggerire senza tradire tutto quanto ci sarà dentro quelle pagine che protegge come un sigillo».
Benedetta Tobagi, figlia di Walter Tobagi, giornalista ucciso dalla Brigate Rosse nel maggio 1980, scrive pagine dense d’amore filiale, al tempo stesso costellate di puntuali rimandi a fatti e persone che hanno scandito la cronaca nera e sanguinolenta dei nostri anni ’70, altrimenti noti, nella vulgata storiografica, come gli «anni di piombo». È un tragico rosario quello sgranato dall’autrice, che si conclude con il mistero doloroso del brutale assassinio del padre, inviato speciale appena trentatreenne in forza al Corriere della Sera: un assassinio premeditato e compiuto freddamente ad opera del partito armato, che vide in lui, socialista riformista di ispirazione cristiana, un pericoloso elemento controrivoluzionario da stroncare: un socialfascista, un socialtraditore, insomma. Un delitto di marca indiscutibilmente brigatista e tuttavia – ipotizza Benedetta, indizi alla mano – in qualche modo forse istigato dalle oscure trame eversive tessute, in quel tormentato periodo, nelle segrete stanze della loggia massonica P2, con la complicità omertosa di circoli politici più o meno di spicco.
La Tobagi ricostruisce con dovizia di dettagli la storia pubblica e privata di Walter: dall’infanzia in terra umbra alla giovinezza dedicata agli studi (laurea in filosofia) e alla prediletta vocazione al giornalismo d’inchiesta, fino al traguardo professionale dell’ingresso in via Solferino. Nel mezzo, la vita affettiva e familiare descritta garbatamente, in un modo insieme asciutto e appassionato. Ne emerge un quadro ricchissimo, variegato e vivace, con al centro, prima, un ragazzo dotato di una maturità sorprendente per la sua età, attentissimo ai fenomeni sociali ma anche impermeabile agli eccessi e alle utopie suadenti ma un po’ sgangherate del “mitico” ’68; poi, un professionista della penna che – senza nascondere le sue paure e le sue incertezze di essere umano, troppo umano – compie sino in fondo il suo dovere di fronte alla società civile del tempo.
Benedetta cede alla tentazione di raccontare qualcosa anche su se stessa, regalandoci così alcune fra le pagine più intime e commoventi dell’intero libro: un intenso dettato autobiografico, che non può lasciare indifferenti, pregno com’è del dolore di una figlia cui è stato strappato il padre e del suo legittimo, sacrosanto desiderio, purtroppo inappagabile, di verità e di giustizia, per sé e per le altre vittime del terrorismo.
Il libro, assai ben scritto, aiuta a comprendere i dati e il senso di un’epoca ormai trascorsa, ma i cui effetti si ripercuotono ancora sull’oggi. Ne consigliamo fervidamente una meditata lettura.
Benedetta Tobagi
Come mi batte forte il tuo cuore
Storia di mio padre
Edizioni Einaudi (2009) – 308 pp. – € 19,00