Verso le elezioni amministrative: una città povera, malata, impaurita, triste, vecchia. E soprattutto senza una vera e propria classe dirigente.
Ci siamo. Tra una settimana si vota per l’elezione del sindaco di Genova nonché del consiglio comunale e dei nove consigli municipali. Un appuntamento importante al quale, per la verità, la città sembra arrivare come stordita da un’overdose di rassegnazione e fatalismo. Il cittadino genovese pare aver perso la «speranza de l’altezza», che l’ex Superba possa cioè cambiare verso, riprendersi, rinascere. Molti hanno imparato a contentarsi di briciole e rimasugli. Altri, sempre di più, hanno dovuto, volenti o nolenti, fare i bagagli e cambiar aria: perché in questa città, macilenta e scarnificata, famelica ed egoista come la lupa dantesca, non c’è posto per tutti. Persino gli avanzi non sono per tutti.
È arduo azzardare previsioni. Il centrosinistra è reduce da una prova complessivamente negativa, anzi molto negativa. Riconsegna una città più povera, malata, impaurita, triste e vecchia. Una terra arida, desolata. La crisi economica (aggravata dal modus operandi disinvolto e predatorio di tanto capitalismo contemporaneo) ha via via desertificato ciò che restava del comparto produttivo qui insediato.
La bolla speculativa, scoppiata dopo il 2008, ha mandato in malora due settori strategici come l’edilizia e i servizi di intermediazione e gestione immobiliare. Il resto lo hanno fatto le vampiresche politiche fiscali messe in atto – sul piano nazionale e locale, con la benedizione di Bruxelles – a partire dal governo Monti. Non è certo un caso che a Genova si paghino Imu e Tari di livello astronomico e che l’obiettivo primario di tanti amministratori locali sia semplicemente quello di far cassa a spese degli amministrati. Dei sudditi, verrebbe da dire, senza alcuna punta di ironia.
Diciamo la verità: Genova non si trova con un piede nella fossa solo per colpa delle sinistre più o meno colorate che la governano da un quarantennio abbondante. Ma, di certo, le scelte strategiche degli ultimi lustri non l’hanno aiutata a parare il colpo. Di fronte a un tessuto sociale in evidente sofferenza che attende risposte e fatti concreti, il Comune non sa neppure badare a se stesso. Le infinite stazioni della penosissima via crucis percorsa dalle aziende partecipate (vedi casi AMT e AMIU) stanno lì a rammentare ogni giorno, fuori e dentro Palazzo Tursi, lo stato catastrofico dei conti pubblici, l’incapacità gestionale dei preposti nominati dalla politica, il drammatico esito di decenni e decenni di “maniman”, ossia di totale e colpevole irresolutezza. Sinistra conservatrice, conservatorismo progressista: paradossi al pesto. L’unica via d’uscita sempre a portata di mano è quella dell’aumento delle tasse. Sindaci, assessori e consiglieri forse ignorano – o forse fingono di non ricordare – la nota arguzia di Churchill: «Una nazione che si tassa nella speranza di diventare prospera è come un uomo in piedi in un secchio che cerca di sollevarsi tirando il manico».
Il centrosinistra genovese – e in particolare il Partito Demo- cratico che ne è il socio di maggioranza – può ancora contare sul sostegno del ceto medio “illuminato”, di parte del pubblico impiego, dei tanti pensionati ex dipendenti di aziende pubbliche, irizzate o parastatali (non facoltosi ma nemmeno toccati dalla crisi nella carne viva). Non avrà, però, il voto dei giovani e dei giovanissimi, né quello delle categorie in questi anni più penalizzate: commercianti, operai e impiegati a basso reddito, precari e disoccupati. Non lo avrà per la banalissima ragione che – al netto dei famigerati 80 euro graziosamente elargiti dallo statista di Rignano – ne ha peggiorato, non migliorato, la qualità della vita. Con la sua passività ha acconsentito che, passo dopo passo, si creasse un deserto, avendo persino la temerarietà di chiamarlo “pace”.
A chi andrà invece il voto dei delusi, degli sfiduciati, degli arrabbiati e dei disperati? In parte a nessuno. Come scrivevamo all’inizio, la disillusione è alle stelle. È dunque prevedibile un’astensione capillare. Le urne non attirano più come un tempo perché tanti si sono persuasi che il cambiamento non passa per questo tramite. Una quota parte di popolazione tradurrà il proprio malcontento nel voto in favore del centrodestra e del Movimento 5 Stelle. Scelta rispettabilissima, che potrà in effetti aprire scenari inediti, ma che per esser saggia e ponderata non deve trascurare un elemento fondamentale: sia Marco Bucci, sia Luca Pirondini, se eletti sindaco, si ritroveranno a dover mettere mano alla rianimazione di Genova facendo leva su una classe dirigente che, sic stantibus rebus, ancora non esiste, giacché quattro decenni di sinistra al potere hanno tenuto fuori dalla stanza dei bottoni tutto ciò che di sinistra non era o non ne aveva almeno la parvenza. Il passaggio repentino da oppositori a governanti spesso presenta risvolti destabilizzanti e traumatici: per evitare il peggio serve una forte leadership, in grado di emergere oltre gli stessi confini comunali, unita a una grande capacità di studio e di lavoro (di squadra e individuale). Staremo a vedere.
Le priorità da mettere in agenda sono lo sviluppo (con il corollario del rilancio occupazionale), la sicurezza e la rimodulazione dell’apparato e dei servizi comunali.
Senza sviluppo Genova passerà dal sonno del coma a quello della morte: le chiacchiere stanno a zero. In tal campo le competenze non sono, solo e tanto, del Comune, ma senza dubbio il Comune può e deve partecipare attivamente a questa cabina di regia, di concerto con gli altri attori istituzionali.
La sicurezza, per sé, dovrebbe essere un prerequisito all’esistenza di qualsiasi società civile, eppure così oggi non è; e non si capisce bene perché i genovesi dovrebbero rassegnarsi a una convivenza forzata con il crescente degrado etico e sociale (con annessi e connessi i suoi aspetti più o meno criminosi) che li circonda, in particolar modo in alcuni quartieri cosiddetti periferici.
Circa i servizi comunali, ça va sans dire che il nuovo sindaco e la sua giunta avranno il dovere di affrontarne i nodi irrisolti, garantendone l’efficienza da un lato e la funzione sociale dall’altro. Cosa nient’affatto facile. Come non facile sarà l’opera di necessario snellimento dell’ipertrofica macchina burocratica che – con l’auspicabile introduzione di dosi sempre più massicce di decentramento verso i Municipi – potrebbe impegnare buona parte del nuovo mandato e produrre, in tempi ragionevoli, un sensibile miglioramento nell’amministrazione di una città tanto eterogenea già dal punto di vista morfologico.
Mala tempora currunt, brontolava Cicerone. Aggiungendo: Sed peiora parantur. Noi ci auguriamo di no.
GRISU’ – Il Drago Buono