L’intransigenza dei vari leader impedisce la formazione di un esecutivo: una condotta che è la negazione della democrazia parlamentare
Trascorse nove settimane dal voto del 4 marzo, malgrado le votazioni regionali di Molise e Friuli-Venezia Giulia, a oggi non si vede ancora un governo all’orizzonte. Sembra chiaro a tutti, meno che a Luigi Di Maio e ai 5 Stelle, che il popolo sovrano due mesi or sono non ha prodotto una maggioranza chiara e autosufficiente. Si sa, la democrazia parlamentare ha bisogno di parlamentari consapevoli del loro ruolo. Parlamentari e leader saggi, che sappiano analizzare il contesto senza volersi improvvisare e imporre come portatori di verità rivelate. E questo bisognerebbe spiegarlo a chi fino ad oggi si è arroccato a difesa del proprio fortino politico, rifiutando il confronto perché timoroso del “contagio” da parte degli altri partiti.
Lo dico e lo ridico: così facendo, il governo non si fa.
Questo stallo fa sì che il popolo si arrabbi: il 54% ha perso la fiducia nei partiti e appena il 5% ha fiducia nella politica. Tutto questo mentre il 65% degli italiani chiede e vorrebbe un governo subito. Il 65% vuole un governo politico, solo il 18% si accontenterebbe di un governo istituzionale. Volere degli italiani ampiamente disatteso, se è vero che ad oggi purtroppo lo stallo continua in un insopportabile nulla di fatto. Il paradosso è che, nel frattempo, ci sono stati vari incontri (informali tra i partiti e formali con il Presidente della Repubblica), ci sono stati i mandati esplorativi dati alla Presidente del Senato e a quello della Camera, incaricati di trovare una soluzione, eppure ogni leader continua a ripetere il proprio copione elettorale, infischiandosene delle esigenze della nazione.
Analizziamo lo stallo attuale attraverso le strategie dei partiti:
Di Maio (M5S): propone cose irricevibili da tutti, tipo la politica dei due forni o il taumaturgo (secondo lui) Giacinto della Cananea o il gioco della torre a discapito delle coalizioni avversarie e quant’altro, così da essere mandato ecumenicamente al diavolo e poi gridare “Onestà! Onestà! Non ha funzionato!”. E che non abbia funzionato gli italiani lo hanno detto chiaramente, punendo il M5S nelle urne sia in Molise sia in Friuli-Venezia Giulia.
La strategia di Matteo Salvini (Lega-centrodestra), invece, a parte l’ostinazione nell’apertura di credito nei confronti di Di Maio, pare aver convinto di più gli italiani. Ha fatto un passo indietro sull’attribuzione delle massime cariche di Camera e Senato, ha tenuto unita la coalizione che ha preso oltre il 37% il 4 marzo, ha continuato come un mantra a dire che lavora per fare un governo e che mai tradirà il mandato popolare: ciò ha permesso al centrodestra di uscire vittorioso nelle urne anche alle recenti regionali.
La strategia di Matteo Renzi (PD-centrosinistra), uscito sonoramente sconfitto dalle elezioni politiche, sembra chiara: l’ex enfant prodige del PD pensa che di solito chi fa opposizione riesce a ricostruirsi una verginità politica; quindi in questa legislatura, traballante nei numeri, ha deciso di non sporcarsi le mani accettando incarichi di governo. Meglio aspettare e sperare in una debàcle di Di Maio e Salvini.
Pare difficile conciliare posizioni, interessi e pensieri così ideologicamente intransigenti… le contraddizioni che emergono sono tante e anche se i leader dicono che ormai si è superata la stessa seconda Repubblica, ci ritroviamo però, nonostante tutto, in un sistema elettorale che invece è da prima Repubblica.
Il punto sta tutto lì: per fare un qualsiasi governo serve un’alleanza tra schieramenti che alle elezioni si sono presentati da avversari. E l’unica soluzione per uscire da questo impasse sta nel sistema parlamentare, che è un “gioco” con le sue regole da conoscere e praticare. Ma, come abbiamo visto, il problema italiano non sta tanto nelle regole, ma nei “giocatori”, che quelle regole non intendono affatto riconoscere. E qui nasce l’inghippo: è davvero difficile far funzionare una democrazia parlamentare senza parlamentari consapevoli del loro ruolo e delle loro funzioni.
Se subito dopo il voto si era interessati al gioco delle tattiche finalizzate a creare alleanze, oggi la situazione è cambiata e quel velato ottimismo iniziale si sta trasformando in manifesta insofferenza ed in una ulteriore mancanza di fiducia verso i partiti e i loro esponenti. Non si impedisce la formazione di un governo per l’ambizione personale di qualcuno o per il calcolo tattico di qualche partito. Che sia chiaro a tutti: di fronte a queste nuove sfide per la democrazia non esistono soluzioni facili o scorciatoie a buon mercato. Chi le promette, promette il falso.
Non si risolvono i problemi riportando l’incolpevole popolo italiano al voto, senza nemmeno essere sicuri che l’attuale fase di instabilità politica possa essere risolta. Il rischio concreto è quello di dar vita a una democrazia degli irresponsabili nella quale il presente si mangia il futuro.
ANDREA CEVASCO*
*L’autore è esponente locale del centrodestra